Biagio (Gino) Doria (1888 -1975)
Ricorre quest’anno (2025), più precisamente l’11 gennaio, il cinquantesimo anniversario della morte di Gino (Biagio) Doria (1975), una delle voci più originali della cultura italiana del XX secolo. Napoletano di nascita, ma legato alla Penisola Sorrentina dalle origini familiari (la madre, Giuseppina Minieri, era massese, figlia del conosciutissimo imprenditore Francesco Minieri), Gino Doria visse un’esistenza all’insegna dell’impegno culturale, della ricerca, dell’amore smisurato per Napoli, per l’arte e per i libri; la sua produzione bibliografica, così come la monumentale raccolta libraria donata alla Biblioteca Nazionale di Napoli, testimoniano ancora oggi una formidabile varietà di interessi, nonché la sua inconfondibile “verve polemica”.
Di recente, nel silenzio assordante di una Napoli che sembra aver dimenticato i suoi figli più illustri, Giovanni Visetti, grazie al supporto dell’Archeoclub Lubrense, ha voluto ricordare Gino Doria, suo zio, dando alle stampe il volume celebrativo: “Zio Biagio, alias Gino Doria”. Il testo, mescolando i ricordi personali di Giovanni alle testimonianze di alcuni, celebri amici del Doria, è una sorta di “zibaldone della memoria”; si propone come un vero e proprio itinerario alla ri-scoperta della vita e delle opere, della prosa e della “verve polemica” di don Biagino, uno dei protagonisti della vita culturale napoletana del ‘900.
Per tutta la sua vita, Gino Doria, nel segno della cultura e dei libri, non recise mai tutto il legame con la Penisola Sorrentina, anzi. La sua prima opera a stampa, risalente al 1909, fu la “Bibliografia della Penisola Sorrentina e dell’isola di Capri”, mentre nel 1969, a sessant’anni da questo suo scritto bibliografico, Il Doria firmava l’introduzione storica del volume “Sorrento”, edito dalla Sansoni Editori. Si chiudeva così, nel segno della Penisola Sorrentina, un ideale legame durato per un’intera vita. Nel corso del 2025, sarà doveroso ricordare la figura umana e intellettuale di Gino Doria, quasi un tributo postumo al suo amore per la cultura.
Per questo motivo, vogliamo offrire ai lettori un gustoso aneddoto riguardante il debutto da scrittore di Gino Doria; la sua vena polemica, già straripante, lo condusse subito al centro di un’aspra contesa:
Nell’ottobre del 1909, sulle colonne del quindicinale “La Fionda”, organo di ispirazione popolare e socialista diretto dal sorrentino Lelio Cappiello, apparve un trafiletto che segnalava la pubblicazione di un interessante volume. Si trattava, infatti, della “Bibliografia della Penisola Sorrentina”, scritta dal giovanissimo Biagio (Gino) Doria e pubblicata dal tipografo Pierro di piazza Dante. L’anonimo redattore de “La Fionda”, forse lo stesso Lelio Cappiello, sottolineava che “l’amico Biagio Doria ha, in elegante veste tipografica, pubblicata una accuratissima bibliografia di Sorrento e dintorni, che è una meraviglia”.
Questi lusinghieri giudizi erano, in verità, più che meritati, perché, come giustamente notava l’anonimo giornalista, questo lavoro del Doria “è fatto con intendimenti di arte, di studio”. Tuttavia, negli ultimi righi di questo trafiletto, una noterella stonata sembrava rompere l’idillio. Salvando tanto la capra quanto i cavoli (propri, ovviamente), il giornalista sembrava voler fare una tirata d’orecchi al Doria, reo, in alcuni passi della sua “Bibliografia…”, di aver strapazzato un monumento vivente qual era Manfredi Fasulo, probabilmente tra i più raffinati e appassionati cultori della storia Sorrentina. Giustamente, notava il giornalista, “noi crediamo che nella critica di debba essere sereni e non trascendere. In questo solo ha peccato […] Doria e siamo sicuri che, egli per primo, riconoscerà a mente serena il suo torto”.
Ma quali erano gli “apprezzamenti” che il Doria aveva rivolto al Fasulo? Dove nasceva questo “biasimo”? Già dalle prime pagine della sua “Bibliografia…”, il giovane e vulcanico Gino aveva sparato a zero sui vari Bonaventura Gargiulo e Federick Furcheim, raggiungendo il colmo della sua “vis polemica” quando giunse a parlare delle opere del Fasulo. Secondo il parere del Doria, “il sig. Fasulo […] ha avuto il merito singolare di mettere una confusione indescrivibile in quello che già si era fatto”. Le bibliografie del ricercatore sorrentino – apostrofato dal Doria persino per aver posto accanto al suo nome i titoli di vice ispettore dei Monumenti e socio della Società di Storia Patria – “sono un capolavoro di ignoranza de’ metodi bibliografici più ovvi”.
Infine, a chiusura di questa feroce critica, Gino Doria definiva un testo del Fasulo, più precisamente “Sorrento nella poesia antica e moderna”, un vero e proprio “ammasso di corbellerie”. Insomma, a ben guardare, i furori giovanili del Doria parevano aver fatto strage e l’anonimo redattore de “La Fionda” bene aveva fatto a sottolineare l’inopportunità di questi giudizi. Ma la vicenda, lungi dal sgonfiarsi, si trasformò in un “casus belli” e la critica si trasformò, ben presto, in polemica. A novembre del 1909, rispondendo all’anonimo redattore, Manfredi Fasulo inviava una sua missiva al giornale, manifestando il suo dispiacere e il suo rincrescimento per una critica così dura alle sue opere.
“Non potevo immaginare – scrisse il Fasulo – che dopo venti anni spesi a riunire, da me napoletano, i fatti più decorosi della storia della Penisola Sorrentina e della Isola di Capri, in varie pubblicazioni […] dovessero ora venire, alcune di esse, criticate dal giovane Doria, in modo tale da far credere a bisticci personali”. Nel prosieguo della lettera, infatti, il Fasulo non solo dichiarava di non conoscere Biagio Doria, ma anzi, tra le altre cose, si dispiaceva di avergli inviato in omaggio la sua “biblioteca sorrentina”, la raccolta dei suoi manoscritti e tutte le sue opere a stampa. Tutto ciò perché, a dispetto di un silenzio inspiegabile, nonostante gli omaggi recapitati al giovane bibliografo, il Fasulo si ritrovò “addolorato di alcune sue ingiuste, infondate ed offensive accuse”. Colpito nel vivo, lo studioso sorrentino attaccava a viso aperto il Doria e non solo rivendicava la bontà delle sue opere, ma persino la scelta (a suo dire opportuna) di chiarire a tutti i lettori dei suoi testi che era sia socio della Società Napoletana di Storia Patria, sia vice ispettore dei Monumenti. Le manchevolezze, a suo dire, erano giustificate dalla eccessiva lunghezza della sua “La Penisola Sorrentina…”, non certo da ignoranza.
“Poi assume aria da maestro, il Doria – scriveva il Fasulo – e mi detta come si debba fare la bibliografia, e io che potrei invece insegnarlo a lui”. Uno sdegno tale che gli faceva citare tutti i presunti errori rilevati dal giovane Doria, ma gli faceva rivendicare, forte e chiaro, il diritto di difendere i suoi scritti, dove non comparivano copiature, bensì citazioni. Risulta bellissima, nella sua semplicità, la frase del Fasulo in cui sottolinea che “trattandosi di ricerche storiche, i fatti non si devono inventare, ma raccogliere da fonti sicure, anzi si usa addirittura copiare le frasi, purché si citi la fonte”. Insomma, il buon Manfredi, da ex bersagliere quale era, partiva alla carica del giovane censore e passando al contrattacco difendeva il valore dei suoi scritti, apportati dalla stessa Società Napoletana di Storia Patria, definendo la “Bibliografia…” del Doria tutt’altro che accurata.
Inutile, vista la bibliografia pubblicata nel 1899 dal libraio Furchheim, priva dei riferimenti alle opere greco-latine, appesantita dalle citazioni dei contenziosi e dei regolamenti municipali, senza citazioni degli autori nati in Penisola Sorrentina e palesemente incompleta: questo il giudizio, riassunto alla meglio, della critica del Fasulo. Insomma, una risposta degna di far divampare un vero e proprio duello a suon di lettere velenose, visto che si chiudeva con un laconico pensiero: “il Doria, che si atteggia a super critico ed esperto bibliografo, neppure lui ha saputo ben compilare la Bibliografia”. “E con ciò – concludeva il Fasulo – non ho inteso d’inizare polemica, ma ho dovuto scrivere per mettere le cose apposto”. Invece, a dispetto di questa retorica chiosa, la bomba era ormai esplosa: a fine novembre, sempre su “La Fionda”, il Doria fece capolino con una sua lettera al vetriolo.
Il palcoscenico offerto dal “coraggioso giornale” era l’ideale per far divampare una polemica ormai di pubblico dominio. Il giovane Biagio Doria, che pure voleva essere breve “non volendo togliere spazio ad un giornale che si preoccupa di altri e ben più gravi problemi” ( La Fionda doveva puntare, all’epoca, a delegittimare la Giunta Sorrentina guidata dall’albergatore Guglielmo Tramontano. Ndr.), dichiarava di non aver mai voluto offendere il Fasulo. La sua, infatti, era una critica “serena, imparziale e concorde”. Era grave, a suo dire, che il Fasulo definisse il ‘500 come l’epoca del Rinascimento, così come sbagliasse ripetutamente a citare personaggi e autori dei volumi consultati. Inoltre, era altrettanto grave che lo studioso sorrentino giustificasse gli svarioni della sua opera “La Penisola Sorrentina…” accampando la scusa che fosse già troppo lunga: “bè? Non si potevano aggiungere altre venti o trenta pagine? È già tanto ponderoso quel volume: pagina più, pagina meno”! Sulla presunta propensione al plagio, che il Fasulo rigettava con sdegno, il Doria aveva le idee fin troppo chiare: “non ho mai detto che fosse un plagiario: ho detto che copia”.
E qui, un po’ a dimostrare le sue tesi, un po’ a carezzare il già maltrattato Fasulo, proseguiva scrivendo che “a onor del vero la Penisola Sorrentina e l’isola di Capri del Fasulo superano di gran lunga le Storie dei Maldacea, dei Parascandolo, dei Canale ecc., gli sproloqui del Jovino e le compilazioni ad usum Delphini del padre Bonaventura da Sorrento: è già qualche cosa”. Quella che, in principio, era una critica al Fasulo, si era estesa poi a tanti altri benemeriti della storia e della cultura della Penisola Sorrentina, in un furore polemico che stentava a placarsi. Il Doria era ormai un fiume in piena e alle timide accuse del Fasulo, scritte nella sua lettera, rispose: “che sugo c’è a parlare di cose di cui non si ha nozione”! Non solo, a dispetto di quanto dichiarato dal Fasulo, non accettava lezioni riguardo ai nomi citati nella sua opera, ma sdegnosamente respingeva la proposizione secondo cui il buon Manfredi “potrebbe insegnare a me la bibliografia: protesto, protesto, protesto”.
A questa precisazione, rispose il Fasulo, trasformando la polemica, ormai più che appassionante, in un duello a colpi di stilografica. Il buon Manfredi, livido di rabbia, tornava sulle critiche mosse dal Doria, ritenendole gratuite e ingenerose. “Sembra che invece delle parole sempre insultanti e inadatte a decorosa critica, con le quali egli (Gino Doria) infiora i suoi attacchi, parole che rigetto con la coscienza di non meritarle, dovrebbero esservi dei ringraziamenti per avergli lasciato libero il campo e la gloria per l’edizione della sua Bibliografia”. Ma con questo scritto, dopo quasi due mesi di polemiche, si chiuse il duello. Il pepe, con Lelio Cappiello aveva reso più saporito il dibattito, andava ormai stemperato e giustamente si notava, dalle colonne de “La Fionda”, la vertenza era assolutamente chiusa.
Indubbiamente, aveva fatto emergere, in campi contrapposti, due personalità uniche nel loro genere, capaci di amare “svisceratamente le nostre terre incantate”. I due, a detta del Cappiello, “si sono accapigliati per una ragione semplicissima: a chi di essi l’ha onorate meglio”. Quella che era stata una critica, forse ingenerosa, di certo eccessivamente violenta, lasciava già presagire la forza d’animo e il successo di un autore, Gino Doria, che non si piegò mai. Rischiò più volte, per il suo carattere e per la sua tagliente penna, di lasciarci le penne in qualche duello (specie in Sudamerica, dove visse tra il 1910 e il 1918) e nel 1927, per un suo articolo irriverente, giunse a irritare persino Benito Mussolini.
Ma la sua “Bibliografia…” del 1909, in seguito ricordata non per vanto per “deprecarla” (Peccata Iuventutis Meae, 1956), fu solo l’inizio di una carriera sfolgorante, sempre in bilico tra erudizione galante e vena polemica.
Gennaro Galano
Bibliografia
Lo scontro che divise Biagio (Gino) Doria e Manfredi Fasulo, quasi del tutto sconosciuto alla critica, avvenne tra l’ottobre e il novembre del 1909 sulle colonne del periodico “La Fionda”, diretto da Lelio Cappiello.
Una raccolta del giornale, quasi completa, è custodita nella Biblioteca Comunale di Sorrento, frutto del dono di Silvio Jannuzzi nel ricordo di Silvio Salvatore Gargiulo (Saltovar). Le opere citate nell’articolo, al centro della polemica, sono:
Biagio Doria, “Bibliografia della Penisola Sorrentina e dell’isola di Capri”, Napoli 1909;
Manfredi Fasulo, “La Penisola Sorrentina. Usi, costumi e antichità”, Napoli 1908;
Federigo Furchheim, “Bibliografia dell’isola di Capri e della Penisola Sorrentina”, Napoli 1899.
Utili sono risultate le notizie pubblicate, nel 1998, da Massimo Gatta nel suo interessante “Bibliografia degli Scritti di Gino Doria” (edito da Colonnese).